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Trionfo del barocco livornese
Trionfo del barocco livornese
Provate a immaginare il fermento di merci e persone del quartiere della Venezia Nuova agli inizi del ‘700. Sede di traffici, compagnie e consolati provenienti da ogni parte del mondo, a partire dal 1682, con la dismissione di parte della Fortezza Nuova, stava vivendo una seconda espansione. Ovunque nuovi cantieri, edifici, chiese e palazzi ne stavano plasmando la fisionomia.
I Bottini dell’olio, Palazzo Huigens e quello del Monte di Pietà, la chiesa e il convento di Santa Caterina, sono tutti di questo periodo. Così come il Palazzo delle Colonne di marmo e la chiesa di San Ferdinando, due opere architettoniche che portano la firma di un genio del barocco toscano molto attivo a Livorno: Giovan Battista Foggini, architetto di corte prima di Cosimo III de’ Medici e poi del figlio Ferdinando.
Iniziata nel 1707 proprio su progetto del Foggini e completata nel 1716 sotto la direzione di Giovanni del Fantasia, la Chiesa di San Ferdinando è uno dei più fulgidi esempi di barocco livornese. Situata su un lato della piazza del Luogo Pio, per i livornesi è la “Chiesa di Crocetta”, in virtù della croce greca, rossa e blu, emblema dei Padri Trinitari, a cui questo luogo di culto venne affidato.
Appena varcata la soglia di San Ferdinando verrete adeguatamente ricompensati per non esservi lasciati scoraggiare dalla facciata rimasta incompiuta. Di fronte a voi, su una pianta a croce latina, si aprirà infatti una splendida navata centrale lungo la quale, tra stucchi e decorazioni, scoprirete una serie di piccole cappelle adorne di marmi pregiati e nicchie dalle quali emergono pregevoli sculture barocche.
Tra queste, il “Sant’Edoardo Re” e “Sant’Enrico II di Germania” realizzate in marmo bianco di Carrara da Giovanni Baratta, architetto e scultore allievo del Foggini e collaboratore di Francesco Borromini. Sempre di Giovanni Baratta è anche il tesoro di maggior valore custodito all’interno della Chiesa di San Ferdinando: il gruppo scultoreo de “La Visione di San Giovanni di Matha”, noto anche come “Gli schiavi liberati”; un’opera davvero significativa sia della missione dei Padri Trinitari che del loro spirito di accoglienza. Un angelo, figura che accomuna molte delle religioni accolte dalla Livorno medicea, che, senza evidenti simbologie cristiane, libera due uomini dalle catene della schiavitù lanciando, tra le pieghe del marmo, un messaggio di unione tra popoli. Davvero notevole!
All’interno di un ambiente così ricco vi sarà difficile notare tutto; per questo vi consigliamo di abbassare lo sguardo anche verso il raffinato pavimento marmoreo e verso le numerose lapidi sepolcrali tra le quali, dietro all’altare, il sepolcro del ricco benefattore Francesco Terriesi, che, insieme al principe Ferdinando, fu il principale finanziatore della chiesa.
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